Mondo Liquido

La storia di Matteo e Nonna Maria

Questa storia nasce da un sogno che, una volta realizzato, ne ha innescato un altro ancora più grande. In questo percorso durato 5 anni ho incontrato molte persone, alcune di loro mi hanno detto frasi che si sono stampate nella mia mente, ma una in particolare non l’avrei mai più dimenticata:
“Ricorda, i sogni per essere tali devono essere realizzabili, altrimenti sono solo utopie”


Sono nato a Bergamo alla fine di Maggio del 1977. Ho avuto un’ infanzia serena  con molti amici, ho fatto parte di quei ragazzini cresciuti per strada con il pallone, le biglie e le biciclette; genitori che ti stangavano seriamente quando combinavi boiate e una nonna artista, eclettica e caparbia, una a cui la vita non ha scontato nulla. I miei genitori mi affidarono a lei quando, dopo le scuole medie, decisero di mandarmi a Valenza Po per intraprendere un lavoro come orafo; credo furono proprio quegli anni  in sua compagnia  ad instillare in me quella piacevole follia di cui solo lei conosceva il significato.
Nonna Maria, la gavetta nei laboratori orafi piemontesi e poi quelli milanesi, oltre ad avermi insegnato  un mestiere e tutto ciò che ne consegue, mi iniziarono a un percorso sociale  fitto di domande su me stesso e sulle persone che mi circondavano… Fu allora che il primo tarlo del mondo liquido si insinuò nella ragione. Ogni notte, prima di addormentarmi sognavo di vivere nel mare.. non “al”, non “sul”, ma “nel”: un sogno a occhi aperti.  A quel tempo ricordo che spesso camminavo per  sentieri di montagna e, oltre a spremere il mio corpo e sentire fatica, avevo il bisogno di arrivare sulla cima, dove la vista perdeva l’orizzonte e dove il silenzio, che solo la montagna possiede, era in grado di placare la mia anima.

Una notte di Maggio del 2002 presi la decisione: il sogno ormai ingombrante andava vissuto! L’indomani mattina presi il mio zainetto, abbandonai il mio lavoro e partii alla volta del Mare; non sapevo precisamente dove, ma in stazione decisi per La Spezia, da lì in autobus per Portovenere. Sbagliai fermata e così furono Le Grazie…quale miglior posto se non una Borgata di mare rispettata in tutto il golfo! Le uniche cose certe erano: indietro non sarei tornato e paura di lavorare non ne avevo.. per il resto ci avrebbe pensato la provvidenza. Trovai due ragazzi più folli di me che mi diedero subito un lavoro; chiaramente la paga era un posto dove dormire, o meglio, un posto su tre piccole derive differenti. Fu così che feci la mia prima conoscenza con le barche a vela, oggetti a me completamente sconosciuti.. sì, sapevo che andavano col vento, ma per quale strano concetto lo facessero, proprio lo ignoravo. Capii e imparai presto che una deriva è come un cavallo selvatico (non so nulla neanche di cavalli), se non sente di essere governata finisci a mollo.

Sono passati diversi anni da quella fantastica estate del 2002, ho conosciuto molte persone, alcune hanno attraversato il mio viaggio, altre ne hanno condiviso un tratto. In particolare un uomo di nome Giovanni Soldini mi tenne con sé per tre anni dandomi la possibilità di tramutare un sogno in passione e facendomi entrare in qualcosa di più grande per le mie possibilità.
Grazie a lui e a tutta la squadra capii che “il mare non lo attraversi, ma è lui che ti fa passare”.
Anni di costruzioni, cantieri, fatiche, oceani, umiltà, umanità, senso del dovere dando te stesso al prossimo con un senso di fratellanza totale. Se per molti il fine è arrivare, per noi è vivere.
“Solo quando l’estremo diventa quotidiano l’uomo ritrova l’essere umano”.


Successivamente navigai per diversi anni su alcune tra le più belle barche armatoriali, entrando così nel mondo da alcuni definito ‘business yacht’, una dimensione più effimera fatta di regole ed etichette che spesso si scontrano con lo spirito puro della vela. Imparai a trovare il lato positivo di queste dinamiche; il mio spirito socievole e diretto mi permise di accostarmi a capitani d’industria, pur continuando a chiedermi però perché mai una persona che ama  il mare avesse bisogno di una barca di 40 metri con sei persone d’equipaggio… La risposta è che la vita terrestre, fatta di livelli economici, ti impone uno status e la libertà è solo una parola detta per abbellire discorsi.
Lo ‘status’, col tempo, mi ha permesso di attraversare oceani in compagnia di tante persone che mi hanno insegnato qualcosa. Iniziai a sentirmi nel ‘tutto’ quando mi trovavo a migliaia di miglia dalla terra, stupendomi ed emozionandomi per quanto fosse tutto così semplice e naturale e cominciando a capire quanto fosse importante vivere l’attimo.
A questo punto la barca non era più solo un mezzo di trasporto che univa due punti, ma una fucina di interazioni fisiche. Ed ecco che un nuovo sogno cominciò a farsi strada nella mia testa.

 

Ricerca dello Strumento

Un nuovo sogno si fa strada 

Cominciai la ricerca di quella che sarebbe dovuta essere la mia barca con due idee ben precise:  la prima era di creare una realtà mia che mi desse la possibilità di vivere facendo ciò che mi veniva meglio e cioè organizzare vacanze, scuole vela e navigazioni oceaniche per avvicinare adulti e bambini al mondo liquido in tutte le sue declinazioni. La seconda, più impegnativa, consisteva nel trovare un’imbarcazione leggera, con una linea d’acqua filante, robusta e accogliente. Avendo vissuto il mondo delle corse avevo capito quanto fosse importante che una barca scivolasse anche con poco vento, ma ancora di più,  quando il vento aumenta e la barca parte, l’emozione che ti regala è uno dei motivi per cui ancora adesso vivo il mare.
Nel 2009 partecipai al  trasferimento di un Levrier 12, progettato da Jean-Marie Finot. Partimmo dalla Thailandia con destinazione casa e alla fine di quel viaggio capii che, se mai avessi avuto una barca, avrebbe avuto quelle caratteristiche. Scoprii l’alluminio e le sue peculiarità, secondo me la miglior alternativa alle imbarcazioni costruite in composito e con il doppio della resistenza alla rottura. Dopo due anni di ricerche, finalmente la trovai: un ‘Levrier de mer’ di 14 metri. Di queste barche sono stati costruiti soltanto 12 esemplari in tutto il mondo e trovarne uno in vendita lo interpretai come un segno del destino!
Contattato l’armatore e preso un appuntamento partii per Martigues, cittadina situata a ovest di Marsiglia; appena la vidi rimasi affascinato dalle sue linee filanti e potenti e fu amore a prima vista. Jean-Marie Finot, che io conoscevo perché aveva disegnato FILA, l’open 60 con cui Soldini vinse il giro del mondo nel ’98, è sempre stato un visionario  futurista, uno che nel 1990 riuscì a concepire un ULDB (Ultra Light Displacement Boat) in lega leggera di 14 metri con delle linee d’acqua che oggi potrebbero benissimo essere considerate ancora moderne.
Non ebbi mai grande considerazione e neppure particolare feeling con quell’ armatore che dopo aver circumnavigato l’America del Sud doppiando Capo Horn, ormai da un anno aveva trascurato e infine abbandonato la barca a se stessa. Trovammo comunque un accordo sul prezzo e firmammo le carte, dando così iniziò alla storia.